Dunque, che cos'è la verità?

09.05.2015 09:01

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Dunque, che cos'è la verità? Uomo moderno e uomo greco a confronto.

Nietzsche la definisce così: << un mobile esercito di metafore, metonimie, antroporfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state trasposte e adornate poeticamente e retoricamente e che, dopo un lungo uso, appaiono a un popolo salde, canoniche e vincolanti>>. La verità per l’uomo non è vista come una ricerca ma come un obbligo ad essere veritieri secondo una convenzione stabilita dall’uso di metafore, opinioni, una sorta di obbligo di mentire. Il sentimento di essere obbligato a dire una metafora vincolante per tutti, suscita un moto morale, che rende l’uomo onesto e veritiero rispetto all’uomo menzognero. Quindi la metafora stabilita come veritiera ha in sé un’utilità, ovvero di fissare delle norme morali e civili, e addirittura religiose. Colui che non rispetta questo schema di metafore impostate è ritenuto essere menzognero, incivile, immorale ed empio. Con questa capacità costruttiva l’uomo si eleva al di sopra di tutti gli esseri viventi e tra gli esseri umani, coloro i quali non rispecchiano tali requisiti sono ritenuti “diversi”. Il “diverso”, dunque, è nato proprio dal non essere conforme alle metafore arbitrarie e su cui l’uomo ha creato il suo status. Mentre il filosofo Kant rimane ben saldo alla tragica visione secondo cui l’uomo non potrà mai conoscere la vera essenza delle cose, la verità, ma ciò che conosce sono solo fenomeni delimitati dalle forme a priori di spazio, tempo e causalità, e che si distinguono da altri fenomeni mediante concetti diversi, ovvero metafore create dall’uomo per convenienza, per riuscire a creare uno status pacifico a norma d’uomo. Ed è proprio qui che Nietzsche, col suo stile polemico ma costruttivo, obietta reputando sbagliato il modo di procedere nella ricerca della verità: << chi cerca tali verità cerca in fondo di metamorfosizzare il mondo nell’uomo>>, ovvero considerare l’uomo la misura di tutte le cose e in più cade nell’errore di credere avere queste cose immediatamente davanti a sé, come oggetti puri e forme a priori. Se invece ognuno di noi provasse a sentire le cose con le nostre percezioni, non ci sarebbero cose oggettive, ma solo creazioni estremamente soggettive. L’unica cosa che a noi è veramente nota, e con questo Nietzsche è d’accordo con Kant, è il rapporto che le cose che ci circondano hanno con noi, in base al tempo e allo spazio (anch’essi da ritenere come prodotti della mente dell’uomo). Per cui se le cose stanno chiuse in questo spazio e in questo tempo, non ci può essere né ricerca della verità e né meraviglia, perché in tutte le cose possiamo comprendere solo queste forme. Se all’uomo sensibile queste cose appaiono limitative, la risposta risiede nell’azione dell’uomo, quella di creare concetti limitativi per spiegare e oggettivizzare le forme che appaiono mediante la percezione. Un impulso che viene dall’esterno viene trasformato in suono e assume col tempo un significato assoluto per tutti; questo è il meccanismo con cui l’uomo è riuscito a limitare la propria vita e quella degli altri. L’unica via d’uscita da questa ragnatela di concetti è il sogno, in cui l’uomo desto si perde in questo fiume di immagini; egli, libero, si lascia tentare, segue i propri impulsi, riesce a provare piacere, è lui a condurre la propria vita. Pensate che gli antichi greci vivevano una vita più di sogno che di veglia, incantati dal magico potere dell’immaginazione. Dal dolore ne ricavavano l’arte, dall’illusione la bellezza, lasciandosi trasportare dall’istinto immaginativo superavano le barriere concettuali per fondare il dominio dell’arte sulla vita. Mentre l’uomo guidato dai concetti cerca di sottrarsi all’infelicità con il loro ausilio, l’uomo intuitivo nel dolore riesce a ricavare pace e rasserenamento. <>.

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